lunedì 16 maggio 2011

La scuola di scrittura narrativa di Raul Montanari

Bergamasco, classe ’59. Ironico e dissacratore. Classicista e traduttore. Si diletta con la bici e ha l’hobby della pesca. Il suo ultimo romanzo, L'esordiente (Baldini Castoldi Dalai). È Raul Montanari, autore noir tra i più quotati. Disordine, ambiguità e tensione sono le parole chiave della sua poetica, di una narrativa in cui il delitto è indagato da una prospettiva intimista e psicologica più che poliziesca e giudiziaria. Questa peculiarità, che rappresenta l’evoluzione in profondità del genere noir, fa di lui un capostipite. 
A Milano, dove vive, ha una scuola di scrittura che porta il suo nome e dalla quale sono usciti alcuni grandi talenti (valga per tutti Gaia Manzini). Ospitati dall’associazione culturale Archivi del ’900, i corsi di Raul Montanari sono strutturati in tre livelli didattici e hanno un carattere teorico-pratico. Da umanista naturalmente votato alla trasmissione della cultura, ecco cosa risponde a chi non crede che la scrittura possa essere oggetto di insegnamento: «I corsi di scrittura creativa sono andati moltiplicandosi, negli ultimi anni, e costituiscono uno dei fenomeni più vistosi del nuovo rapporto fra autori, libri, lettori, editoria. Detto in parole semplici: il desiderio di esprimersi creativamente attraverso la scrittura narrativa è aumentato. 
Questo incremento ha come premessa l’apertura di orizzonti inesplorati che si è operata in Italia a partire dagli anni ’90, spezzando i confini molto rigidi che fino a quel momento avevano separato il mondo letterario istituzionale (autori affermati e editori) dall’universo pulsante, magmatico, formato da quei lettori che aspiravano a un rapporto attivo e non più solo felicemente passivo con il racconto e il romanzo. Insomma a scrivere e non solo a leggere! Fra le conseguenze annoveriamo il fiorire di presentazioni, festival, incontri pubblici con autori noti e meno noti, la rinascita del reading e, per l’appunto, la grande fortuna dei corsi di scrittura creativa e un certo interesse per questo insegnamento anche da parte di docenti molto attivi, curiosi, evoluti che operano dentro le scuole.
Ma è possibile “insegnare” a scrivere? Sulla narrativa pesa un doppio equivoco, che spiega come mai una persona che troverebbe ovvio frequentare un’accademia di belle arti o un conservatorio possa invece provare diffidenza nei confronti di una scuola di scrittura.
L’equivoco più sottile nasce dal fatto che il genio narrativo, diversamente da quello matematico o musicale, non è mai precoce; è necessario avere accumulato una minima esperienza esistenziale per essere in grado di creare storie e raccontarle con un buon senso di realtà. Inutile citare Leopardi, come si fa di solito in questi casi per un riflesso scolastico: le sue opere scritte in tenera età erano e sono compilazioni illeggibili di materiale che non ha nessun interesse per il lettore. Di conseguenza (ecco l’errore) sembra sufficiente, invertendo i termini, avere qualcosa da dire per essere automaticamente capaci di dirlo, attirando e trattenendo l’attenzione di chi legge. Il secondo equivoco è più grossolano: la materia dello scrivere è il linguaggio; se sono in grado di comunicare parlando, scrivendo lettere e così via, perché cercare in una scuola di scrittura una competenza che ho già? 
Questa falsa prospettiva è accentuata dal fenomeno già citato della nuova narrativa, una generazione di scrittori che rifiuta gli accademismi della “prosa d’arte” e spesso impiega deliberatamente una lingua vicinissima a quella del vivere quotidiano. A questo punto, agli occhi dell’aspirante narratore, la soglia d’accesso al romanzo o al racconto appare ingannevolmente bassa: mi viene in mente una buona storia, il linguaggio ce l’ho, la metto giù e basta. In realtà nessun autore scrive spontaneamente. Anche la prosa più semplice è frutto di un lavoro creativo, non parliamo poi di certi linguaggi in cui l’uso di gerghi o idiomi generazionali è destinato a effetti espressivi. Questa lingua va sempre studiata negli altri e messa a punto in noi, non zampilla da chissà quale vena sotterranea. E lo stesso vale per le strategie narrative, la costruzione del personaggio, dell’intreccio, l’organizzazione dei punti di vista, il ritmo delle parti, la scansione temporale, insomma tutto ciò in cui consiste l’arte del raccontare. A questo servono le scuole di scrittura creativa e a questo dovrebbe servire in generale l’insegnamento della letteratura, anche nei licei: anzitutto a imparare a leggere, a scomporre dall’interno i giocattoli narrativi già esistenti, divertendosi, e vedere come sono fatti. Così, restituendo un romanzo alla sua essenza di giocattolo narrativo, lo si riqualifica nel momento stesso in cui apparentemente lo si smitizza. Se poi lo studente, alla fine di un percorso del genere, si sentirà incoraggiato a cimentarsi lui a inventare e narrare, l’intelligenza, la fantasia e l’applicazione potranno creare il buon racconto o addirittura il buon libro (quella media produzione di qualità che manca da sempre in questo paese degli estremi e abbonda invece, guarda caso, nella patria del creative writing, gli USA). E il puro talento – quando c’è – plasmerà il capolavoro.»

Link > Allievi

Nessun commento:

Posta un commento